Vedanta

Il Vedānta o Uttaramīmāṃsā, è uno dei sei sistemi filosofici (darśana) dell’India antica, insieme a Nyāya, Vaiśeṣika, Sāṃkhya, Yoga e Pūrvamīmāṃsā. Nello Ṣaḍdarśanasamuccaya del jaina Haribhadra (VIII sec. d.C.), forse la più antica dossografia, sono elencati sei darśana, ma non corrispondono a quelli classici. Il celebre Sarvadarśanasaṃgraha di Mādhava (XIV sec. d.C.) ne descrive invece sedici.

Sorti all’interno della tradizione brahmanica, questi darśana classici sono considerati ortodossi (āstika), in quanto riconoscono l’autorità del Veda, a differenza delle dottrine eterodosse (nāstika) del buddhismo e del jainismo, che invece la rifiutano. Il testo fondativo del Vedānta, il cui duplice significato è “fine” e “compimento” dei Veda, è rappresentato dai Brahmasūtra. Attribuito a Bādarāyaṇa e databile ai primi secoli dell’era cristiana, il testo è composto da 555 aforismi, suddivisi in quattro “letture” (adhyāya), ciascuna divisa in quattro sezioni o “piedi” (pāda), e costituisce, insieme alle Upaniṣad e alla Bhagavadgītā, il cosiddetto prasthānatraya, ovvero il “triplice canone”, secondo il Vedānta recente.

Il principale obiettivo polemico del testo è la scuola Sāṃkhya, confutata insieme alle dottrine dello Yoga, del Vaiśeṣika e del buddhismo. Nel corso dei secoli, i Brahmasūtra sono stati oggetto di commentari da parte dei maestri delle diverse correnti vedāntiche, tra cui Maṇḍana Miśra, Śaṅkara, Bhāskara, Rāmānuja, Madhva, Nimbārka, Vallabha.

Iniziatore della scuola advaita (non-dualismo) è considerato Gauḍapāda (VI sec.), autore delle Māṇḍūkyakārikā, un’opera composta in prosa e versi (śloka). Il primo dei quattro capitoli (prakaraṇa) consiste in un commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad, mentre il quarto introduce concetti che richiamano alcune idee del pensiero buddhista, in particolare la dottrina dell’ajātivāda (non-nascita).

Il vero sistematizzatore del kevalādvaita (non-dualismo assoluto) è Śaṅkara, nato a Kaladi, in Kerala (VII-VIII secolo). Discepolo di Govinda, a sua volta allievo di Gauḍapāda (paramaguru), Śaṅkara è considerato un’incarnazione di Śiva. Secondo la tradizione, a lui si deve la fondazione di quattro monasteri (maṭha) situati ai quattro punti cardinali del subcontinente, a Śṛṅgeri (Sud), Purī (Est), Dvārakā (Ovest) e Badarīnātha (Nord), nonché l’istituzione di un ordine monastico (sampradāya) articolato in dieci gruppi (daśanāmi).

Delle molte opere a lui ascritte, solo i commentari (bhāṣya) ai Brahmasūtra, alla Bhagavadgītā, alle Upaniṣad vediche (ad esclusione della Śvetāśvatara) e, forse, anche agli Yogasūtra possono essere riconosciuti come autografi. Il capolavoro della sua produzione è l’Upadeśasāhasrī, che, a differenza delle altre sue opere, non assume la forma di un commentario.

Fra i primi discepoli di Śaṅkara figurano Padmapāda, Ṭroṭaka, Hastāmalaka e Sureśvara. Autore dei subcommenti (vārttika) al Bṛhadāraṇyakabhāṣya e al Taittirīyabhāṣya di Śaṅkara, nonché del trattato Naiṣkarmyasiddhi, Sureśvara è stato uno dei suoi interpreti più autorevoli. Dopo Śaṅkara la scuola del kevalādvaita ha seguito due indirizzi: il Vivaraṇa, che prende il nome dal commentario (vivaraṇa) alla Pañcapādikā di Padmapāda ascritto a Prakāśātman (XIII sec.), e la Bhāmatī, il cui nome deriva dal sub-commento ai Brahmasūtra di Vācaspati Miśra (IX-X sec.).

In ambito vaiṣṇava il rappresentante più significativo è stato Rāmānuja (1017-1137), nato a Sriperumbudur in Tamil Nadu, fondatore della corrente viśiṣṭādvaita (non dualismo qualificato). Tra i precursori di questo indirizzo si annoverano Nāthamuni (824-924) e Yāmunācārya (918-1038), quest’ultimo autore di diverse opere in cui sono presenti elementi derivanti dal sistema del Pāñcarātra e dai poeti tamil degli Āḻvār. Le principali opere di Rāmānuja includono i commentari ai Brahmasūtra e alla Bhagavadgītā, nonché il Vedārthasaṃgraha, che contiene la sua interpretazione delle Upaniṣad, e il Vedāntadīpa, un riassunto del suo commentario ai Brahmasūtra.

Un altro rappresentante della tradizione vaiṣṇava è Madhva (1238-1317), autore di numerose opere della corrente dvaita (dualismo), tra cui i commentari alle Upaniṣad, ai Brahmasūtra e alla Bhagavadgītā.

Sempre in un contesto vaiṣṇava vanno ricordati: Nimbārka (XI-XII sec.), nato a Nimbapura in Karnataka, fondatore della corrente dvaitādvaita (dualismo-non dualismo) e autore di un commentario ai Brahmasūtra; Vallabha (1473-1531), originario di Kamparanya in Madhya Pradesh, iniziatore dello śuddhādvaita (non dualismo puro); e il bengalese Caitanya (1486-1533), che ha dato avvio all’indirizzo dell’acintyabhedābheda (differenza e non differenza inconcepibile).

Nel Novecento, il Vedānta è stato reinterpretato in chiave moderna da diverse personalità, tra cui Vivekānanda (1863-1902), Ramana Maharsi (1879-1950), Aurobindo (1872-1950), Sarvepalli Radhakrishnan (1888-1975), le cui opere rientrano nell’ambito del cosiddetto Neovedānta.

Bibliografia

Un’approfondita e autorevole introduzione ai sei sistemi della filosofia indiana è offerta da Torella 2019, mentre una bibliografia aggiornata delle pubblicazioni sul Vedanta è presente in Allen 2023 e Allen 2024. King 1995 rappresenta un interessante studio sull’opera di Gauḍapāda e sugli influssi del Buddhismo Mahāyāna. Halbfass 1988 dedica un intero capitolo alle dossografie indiane. Una breve presentazione del pensiero di Bhāskara, contemporaneo di Śaṅkara, si trova in Ingalls 1967. Sulla filosofia di Śaṅkara si segnalano gli studi di Piantelli 1998 e Rigopoulos 2019. Comans 2000 presenta la dottrina del primo Advaita, Ram-Prasad 2013 ne approfondisce invece gli aspetti epistemologici e metafisici. Sul versante vaiṣṇava degni di nota sono i lavori di Bartley 2002 su Rāmānuja, Agrawal 1957 su Nimbārka, Bennett 1993 su Vallabha, e De 1961 su Caitanya. Rigopoulos 2009 e Rigopoulos 2019b approfondiscono rispettivamente la figura del guru e il concetto di tolleranza in Vivekānanda. Sul Neovedānta vanno ricordati gli studi di Hacker 1995, che ne presenta una lettura critica, e Halbfass 1988.

Agrawal, Madan Mohan (1957), The Philosophy of Nimbārka, Jain Book Depot, Delhi.

Allen, Michael S. (2023). Vedānta: A Survey of Recent Scholarship (I), in “Journal of Indian Philosophy”, 51, 5, pp. 731-759.

Allen, Michael S. (2024), Vedānta: A Survey of Recent Scholarship (II), in “Journal of Indian Philosophy, 52, 1, pp. 41-71.

Bartley, Christopher J. (2002), The Theology of Rāmānuja: Realism and Religion, Curzon, London.

Bennett, Peter (1993), The Path of Grace: Social Organization and Temple Worship in a Vaishnava Sect., Hindustan Publishing Corporation, Delhi.

Clark, Matthew (2006), The Daśanāmī-saṃnyāsīs. The integration of ascetic lineages into an order, Brill, Leiden and Boston.

Comans, Michael (2000), The Method of Early Advaita Vedānta: A Study of Gauḍapāda, Śaṅkara, Sureśvara and Padmapāda, Motilal Banarsidass, Delhi.

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Hacker, Paul (1995), Philology and Confrontation, edited by Wilhelm Halbfass, State University of New York Press, Albany.

Halbfass, Wilhelm (1988), India and Europe: An essay in understanding, Motilal Banarsidass, Delhi  [trad. it. Europa e India. Storia di un incontro culturale, a cura di Raffaele Torella, Carocci, Roma, 2025].

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Piantelli, Mario (1998), Śaṅkara e il Kevalādvaitavāda, Āśram Vidyā, Roma.

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Rigopoulos, Antonio (2019a), Il samādhi dello Yoga classico e la sua svalutazione nell’Advaita Vedānta di Śaṅkara, in Fausto Freschi e Franco Fabbro (a cura di), Yoga e Advaita, Carocci, Roma, pp. 32-61.

Rigopoulos Antonio (2019b), Tolerance in Swami Vivekananda’s Neo-Hinduism, in “Philosophy & Social Criticism”, vol. 45, pp. 438-460.

Torella, Raffaele (2019), Il pensiero dell’India: un’introduzione, 2a ed., Carocci, Roma.